La verità non detta










Sentiva che non poteva parlarne con nessuno. Vedeva chiaramente come sarebbe andata se solo avesse aperto bocca anche con la sua più fidata amica. Si immaginava le chiacchiere che sarebbero scaturite, le sembrava quasi di sentire quella voce fidata che le suggeriva di fare diversamente, che stava sbagliando. Era come se fosse lì. Era capace di visualizzarla al suo fianco, come era loro solito, sedute sul divano di pelle marrone scuro, lei con le gambe piegate, con il sedere sui talloni, il gomito sullo schienale che reggeva la testa, inclinata di lato in modo da poterla guardare dritta negli occhi. Nell’altra mano, una tazza di tè fumante rigorosamente senza zucchero. Amaro, come l’aveva sempre bevuto. Amaro, come il sapore della sua triste e angosciante vita. La sua amica, invece, si sedeva a gambe incrociate, i capelli raccolti in una coda di cavallo, realizzata senza nemmeno guardarsi allo specchio, con qualche ciuffo che spuntava qua e là, la schiena appoggiata al bracciolo del divano e tra le mani una cioccolata calda, con la panna.





Sentiva che non poteva chiamarla, non poteva chiederle di raggiungerla, di prepararle la sua cioccolata perchè aveva bisogno di una serata tra amiche, perchè sentiva l’esigenza di confrontarsi, di sentire la sua opinione. No, non poteva farlo. Conosceva già tutte le risposte, era cosciente di ciò che sarebbe successo se avesse ammesso cosa provava. Ma come poteva spiegarlo, se nemmeno lei capiva quale emozione era quella giusta, quella vera?





Confusa... Era quella l’emozione che si era impadronita di lei. E quando era confusa, non sapeva mai quale era la scelta giusta da compiere.





Sapeva che la sua amica le avrebbe suggerito di partire, di mettere le distanze. Sapeva che le avrebbe detto: “Se sei confusa è perchè già conosci la risposta. Sei spaventata, hai paura delle conseguenze. In verità, sai già quale direzione prendere. Ma non permettere alla paura di impadronirsi di te, non permetterle che ti vincoli in questa situazione di stallo che ti rende, ogni giorno di più, sempre più infelice.”





Ecco, la sua calma di sempre, Paola le avrebbe detto esattamente quelle parole. E lei, d’istinto, l’avrebbe abbracciata. Sarebbe rimasta in un rigoroso silenzio, fino a quando le lacrime avrebbero preso il sopravvento. Le avrebbe permesso di consolarla, di tenerla tra le sue braccia, e poi d’un tratto si sarebbe allontanata e sarebbe scoppiata a ridere. Le avrebbe sussurrato un grazie. Avrebbero passato la serata guardando un film e mangiando cibo consolatorio.





Quella volta non sarebbe andata così. Non le avrebbe raccontato il suo tormento, le sue insicurezze, le sue remore. Era stanca di apparire sempre quella debole, pur sapendo che la sua amica non l’aveva mai considerata tale. Eppure era così che Gemma si sentiva. Era stufa di sentirsi così.





Abbandonò il divano e raggiunse la sua camera da letto. Guardò il disordine, si tirò su le maniche e iniziò.





Chiuse la porta alle sue spalle e si fece inghiottire dalla stanza.